sábado, 7 de maio de 2011

ALBERTOL + SARA


Sul commento di Albivio.

In effetti, non ho specificato bene che gli anni in cui avevo un’immagine tanto composta e seria di Alberto sono stati, di fatto, quelli del ginnasio. È stato durante il triennio del liceo che ho iniziato a conoscerlo per davvero. Durante gli ultimi tre anni al Dettori e anche dopo, quelle pareti che mi sembrava separassero i nostri mondi si sono increspate fino a cadere. A partire dai sedici anni le ho percepite si le sue emozioni, ma devo ammettere che nel periodo precedente per me non è stata una cosa  immediata. Quelle immagini che affermo di non trovare si riferiscono anche una sorta di mistero che per me lui rappresentava. E a un’impenetrabilità fatta anche di me.
Concentrando l’attenzione su Alberto non ho detto che se da un lato io ricordo un po’ di austerità e un estremo equilibrio, dall’altro, la parete era fatta della superficialità del mio sguardo. Una leggerezza confermata anche dal commento di Albivio. Ero io che ancora non camminavo nella sua direzione, mi perdevo a pensare a cosa gli altri pensassero di me. Nel senso, la domanda che mi facevo il più delle volte a 14 anni su di lui era Chi sono io per Alberto? e non, Chi è Alberto?     
Anche per insicurezza aspettavo che fossero gli altri a darmi corda, se qualcuno faceva un passo verso di me, io ne facevo uno uguale.
Ma non andavo più avanti, avevo paura di superare dei limiti invisibili che vedevo dappertutto e che mi facevano sempre tergiversare. Così se Alberto si rivelava a poco a poco e magari a suo modo si proteggeva, io e la mia mancanza di concentrazione su tutto non attiravamo più di tanto la sua attenzione. E la mia sensibilità era mooolto meno affinata. Infatti, ricordo il nostro diventare amici sul serio come un mio cambiamento. Alberto era sempre Alberto, solo che ai miei occhi.
Quello che dico non è la verità, è solo Sara + Alberto, che non ho dubbi sia  certamente diverso da un Silvia + Alberto.  Silvia per esempio è stata amica di Alberto da subito in maniera molto più profonda. 
Insomma io quest’Alberto non me lo sono meritata proprio subito, la mia distrazione mi ha fatto fare un giro un po’ più largo (prima di arrivare Albivio!).

E poi cos’è questa storia di voler cambiare certi suoi lati?  Mannaggia, anche qui devo precisare che ho lasciato da parte, nella sua descrizione, il caos rumoroso  che travolge il suo spirito ogni giorno, perché anche questa è un’opinione molto mia e perché altrimenti tutto diventa troppo lungo. Che strano, per quanto li abbia descritti, il pensiero che questi lati dovrebbero cambiare non mi sfiora. Non solo. Mi piacciono proprio.

sexta-feira, 6 de maio de 2011

SEGUNDO (TRADUÇÃO)


Pó, o sabia.

Pior de qualquer previsão, deixei o poço vazio. Hoje é o 5 de Maio... se digo que de aqui  vou começar a descrever as pessoas conhecidas, vou faze-lo de vardade? Um post para cada pessoa. Só escrever, descrever, observar. Um exercício? Uma coisa sem sentido? Saudade de? Uma procura de estímulos?
No sé.

Más aí, por quê intentar explicar?    

ALBERTOL


Inauguro con te l’esperimento.

Il primo ricordo che ho di Alberto risale alle scuole medie. Un ragazzino silenzioso che incrociavo solo durante l’ora di ginnastica.
Emergeva rispetto agli altri per i tratti marcati del viso, sicuramente più di adesso. Ecco, forse sembrava più grande. Lo notavo anche perché aveva l’aria di essere uno imbranato.  Me lo ricordo sempre serio, con la faccia da buono.  

Ho cominciato a conoscerlo in quarta ginnasio.

A scuola spaccava. Andava bene in tutto, ma bene davvero. Era come se raggiungesse sempre il limite della perfezione. Cioè, meglio di come faceva lui non si poteva.  Eppure mi sembrava distante da tutto.  Guardando indietro, non trovo l’immagine di un Alberto particolarmente emozionato per qualcosa. Compostezza. É la prima parola che gli appiccico addosso in quegli anni, quelli del ginnasio.
Poi i nostri mondi hanno cominciato a mescolarsi e la vicinanza dei nostri banchi in classe ha cominciato a farci scherzare. Lui stava all’ultimo banco nella fila centrale. Proprio dietro di noi.
Prima di tutto, non posso dimenticare quella volta che, all’inizio dell’anno e appena messo piede nel corridoio di scuola, abbiamo cominciato, io e lui, a correre come dei disperati fino all’aula perché volevamo occupare lo stesso posto. Dato che non sapevamo bene a che piano stesse la classe, ci siamo fatti tre piani correndo per poi scoprire che la mia compagna di banco era arrivata prima di noi e che, quindi, c’eravamo spompati per niente. Detto tra noi, gli rompevamo sempre le palle per farci passare le frasi più difficili delle versioni e vari suggerimenti durante altri compiti in classe. Gliele rompevamo tanto, io e la mia fila, che a un certo punto per disperazione si è scambiato di posto con il suo compagno di banco, lasciando nella vecchia posizione, appunto, solo la disperazione (per noi).
Ma cos’era che davvero attirava la sua attenzione a parte la maionese? Albi era sempre calmo, non si mostrava mai troppo triste e forse nemmeno troppo entusiasta. Perlomeno s’incazzava quando per gioco gli rifilavo la spazzatura sotto il banco. Bevevo un succo, mangiavo schifezze e gli lasciavo tutte le cartacce sotto il banco. E farlo arrabbiare per questo, veramente, era troppo divertente. In effetti ancora adesso me ne compiaccio.
Una volta cambiato di posto davanti a lui c’era Marta. Le faceva sempre i grattini sulla testa e nel collo, è una cosa che mi piace un sacco ricordare, non so perché.
Quando studiava, ripeteva la lezione camminando in circolo per la sua stanza. L’ho scoperto quando ho cominciato a non riuscire più a studiare iniziando a rompergli le scatole per andare a casa sua a fare i compiti o farmi interrogare. Mi piaceva sentire il suo parere su tutto. Era quel distacco dalle cose che lo faceva essere tanto obiettivo, riusciva a esprimere la sua opinione senza essere prigioniero di simpatie o antipatie. Solo che poi mancava l’ io di Alberto. Dov’era lui?  
Ah, ma lui c’era. Ed era attento.
Una volta mi ha fatto ridere così tanto che anche adesso se ci penso continuo da sola.  Ci piaceva andare a pattinare in gruppo… eravamo in Via della Pineta, nella discesa. Io e lui non eravamo proprio i migliori con il freno. Io mi stavo tenendo a un lampione quando da dietro sento un grido di aiuto in crescendo. Albi mi raggiunge,  continuando a gridare mi supera, si allontana e si schianta un po’ più giù contro un palo, tipo fumetto, spiaccicato a gambe e braccia aperte.

Poi un giorno siamo andati a correre.
Io gli ho fatto un gioco. Devi immaginare un cubo in un deserto e descriverlo con una scala vicino. Poi devi pensare a un cavallo, poi a una tempesta.
Quel giorno non si dimentica. Un salto. Un salto dentro. O fuori.
Una cosa importante da fare prima di una partenza.    
Oggi.
Quieto, ha il paese delle meraviglie tutto dentro, noi lo sentiamo. Anche quando sta in silenzio, anche quando è lontano, quel paese delle meraviglie fa un gran casino. E ci piace.
Continua ad essere lui, con una cassa degli attrezzi invisibile dove c’è anche Bologna, dove ci sono mille voci e il rumore della carta e dei tasti.
Non parla mai senza sapere cosa sta dicendo. Non parla per sentito dire e se lo fa non lo nasconde. È serio, ride. Se per caso fa il pagliaccio, lo fa come un pagliaccio genuino, senza dire cazzate vuote. Niente di Alberto è vuoto, anche quando dice esagerata ed io non sono d’accordo.

Oggi.
Quel paese là dentro fa un gran casino. E ci piace anche il bisbiglio. Il silenzio pieno di abitanti.