quarta-feira, 17 de outubro de 2012

14/10/2012 IL SOGNO CHE RICORDO


Sono nella casa del giunco, a Carloforte. Devo svegliarmi per andare a lavorare alla Cinevídeo.
Probabilmente sto dormendo in salotto (un salotto che é molto più grande e diverso da quello di casa), perché c'é una specie di gigante-uomo che dorme in camera mia. Non so bene chi sia, ma lo sto ospitando.
Mi alzo e vedo Diana dall'altra parte del salone, seduta ad un tavolo pieno di fogli colorati e di progetti a forma di gomitoli e Didó. É molto allegra ed ha un cavallo con sé, proprio al suo fianco.
Vorrebbe parlarmi, ma purtroppo sono in ritardo e non riesco darle tutta l'attenzione che vorrei. Comunque sono tranquilla perché sta per arrivare anche Arianna. Ma non so come comportarmi con il cavallo perché non ne ho mai avuto uno e ho paura che mi morda la mano (haha!). Ma Diana mi dice che é buonissimo e che posso stare tranquilla. Quindi sto tranquilla.

Salgo le scale ed entro lentamente nella stanza, dove il gigante-uomo sta dormendo, per prendere qualcosa.
Quando torno giù, il cavallo mi si avvicina e mi accorgo che Diana gli ha messo il rossetto. Un rossetto fortissimo... la bocca sembra proprio quella di una persona!
Mentre lo osservo, Diana, con grande allegria, mi chiede "non gli sta benissimo?" e io rispondo di si, perché in effetti il cavallo lo porta molto bene.  Tra l'altro sembra ne vada anche orgoglioso.

Mentre guardo gli ampi spazi della casa, il cavallo correre da una parete all'altra, Diana intenta a costruire cose colorate sul tavolo e vedo la luce che entra da fuori e penso al mare, mi sveglio.
E in effetti é tardi, e devo andare.

É assim que muitas vezes vão as coisas (tradução)

(Anticipadamente peço desculpa por todos os erros de português).


No domingo, o meu deus de dentro costuma sair de férias. E eu, sem ele, sento-me perdida. 
Mas hoje (quer dizer, domingo), me foi bem porque eu tinha que escrever, e ele fez me sentir a sua presença, o meu deus de dentro.
Ele está sempre muito faminto, tem que se nutrir de novidades, de coisas que chamem a atenção dele, para ficar em saúde. Quando isso vem a faltar, o deus de dentro sobrevive com desafios menores, com o trabalho que o sacudi, com o movimento.
Se também isso vai faltar, ele morre.
Depois renasce, claro. Ou, pelo menos, isso está claro para mim. 

Mas quando morre, ele ser parte de mim, ou eu ser parte dele, é agonizador (? ou deveria dizer exaustivo?). Quero dizer, é exaustivo esperar que ele nasça de novo.
Pensava que deve ser um deus de dentro tão exigente que passa o confim do capricho, mas apesar de tudo, nunca brigo com ele. Para dizer a verdade, eu o adoro.


Dois anos atrás comecei a escrever um roteiro para um longa, chamado "Não fomos bons".
Relendo-o, estou achando que esse micro-textinho fosse particularmente autobiográfico:

 “É assim que vão as coisas muitas vezes. As pessoas se abrem comigo, me contam de se mesmas, desabafam. Se desnudam com palavras que nem para um desconhecido, se sentem livres de me dar conselhos depois ter ganhado de mim as informações mais superficiais. Acreditam que duas palavras sobre a minha privacidade sejam suficientes para me conhecer em profundidade, mas a verdade, é que a parte isso, eu não falo nunca. 
Escuto. E pergunto. Pergunto muito. 
E nas lembranças desfocadas da multidão, o meu perguntar se torna um dizer sem interrogação. Se torna um contar.
A verdade é que não me escutam com facilidade, o meu falar não tem muito espaço. O meu papel é ser um balde onde derramar os lamentos do desespero, as confidências mais maliciosas, as criticas mais cruéis. 
Mas acontece também que as pessoas me confiem os seus sonhos. 
Sem querer elas me protegem, cuidam de mim. 
Me dão calor.
E eu, arrancada por uma infinita tristeza, antes o depois, as abandono". 

Assim, eu me sentia. 




terça-feira, 16 de outubro de 2012

É COSÌ CHE VANNO SPESSO LE COSE


Di solito, di domenica, il mio dio di dentro va in vacanza. Ed io mi sento persa senza di lui. Però oggi mi é andata bene perché dovevo scrivere e lui mi ha fatto sentire la sua presenza, il mio dio di dentro.

Il mio dio di dentro é molto affamato, si deve nutrire di cose nuove e interessanti per stare in salute. In mancanza di queste sopravvive con le piccole sfide, con il lavoro che scuote, con il movimento. Se anche questo viene a mancare, lui muore. Poi rinasce, ovvio. O almeno é ovvio per me. Però, quando muore, portarselo dietro é stremante. Voglio dire, é stremante attendere che rinasca.
Stavo pensando che dev'essere un dio di dentro talmente esigente da sforare nel capriccio... eppure non ci litigo mai. A dire il vero, gli voglio proprio bene.

Due anni fa ho iniziato a scrivere una sceneggiatura per un lungometraggio, dal titolo "Non siamo stati bravi".

Stavo pensando, rileggendola, che questo micro pezzo fosse particolarmente autobiografico:


“É così che vanno spesso le cose.

Le persone si aprono con me, mi raccontano di sé, si sfogano. Si spogliano delle parole che non possono pronunciare se non in presenza di una sconosciuta, si sentono libere di darmi consigli dopo aver saputo di me le informazioni più superficiali. E credono che siano sufficienti due parole sul mio privato per conoscermi a fondo ma la verità, é che a parte questo, io non parlo mai. Ascolto. Faccio tante domande. E nel loro ricordo sfuocato, il mio domandare si trasforma in un esporre, in un raccontare.

In realtà non mi ascoltano facilmente, al mio parlare non viene dato molto spazio. Il mio ruolo reale e’ quello di un secchio nel quale riversare i lamenti più disperati, le confidenze più maliziose e  i pettegolezzi più crudeli.

A volte però mi confidano anche i loro sogni. Indirettamente mi proteggono, si prendono cura di me. Mi danno calore. Ed io,  travolta da un’abitudinaria tristezza, prima o poi li abbandono”.


Così io mi sentivo.

domingo, 14 de outubro de 2012

quarta-feira, 10 de outubro de 2012

QUANDO VOU DORMIR

Quando vou dormir, não durmo sem ler um livro (pode ser sobre qualquer coisa), ou sem ocupar o silencio com algum video do youtube de algum jornalista italiano que fala sobre a mafia, sobre a camorra, sobre a politica, ou vendo um programa jornalistico que faz reportagens interesantes sobre a crisi, los bancos etc... etc...
Geralmente, o quem gosto mais de escutar é o Roberto Saviano.

terça-feira, 9 de outubro de 2012

INCONTRI/UNA MATTINA D' AGOSTO 2010/UN VIAGGIO TRA CAGLIARI E CARLOFORTE


Oggi, cercando tra vecchi documenti word del 2010 una sceneggiatura, ho trovato una copia di un'e-mail che, nell'agosto del 2010, avevo inviato ad A. (il fatto di usare l'iniziale devo ammettere che lo sto copiando da Oreste), per raccontargli la cronaca di un viaggio bizzarro.

Eccola qui:

Ho rischiato di scriverti una pagina di noiose riflessioni sul profondo nulla, ma poi il mio lungo (di sicuro piu' del necessario) viaggio Cagliari - Carloforte mi ha fatto cambiare idea e adesso ti racconto di come la tua "patria" possa sempre stupirti con il suo paesaggio umano.
Se partiamo dal presupposto che il mondo e' una prigione di pazzi e noi ci siamo dentro in pieno (io si, di sicuro), rientra tutto nella normalita', quindi non sto per raccontarti niente fuori dal comune.

Alle cinque del mattino ho raggiunto la stazione di Cagliari per prendere il primo treno per Iglesias nella speranza di trovare poi da lì, un autobus diretto per Portovesme, che mi facesse prendere in tempo utile, il traghetto chiave per arrivare ad aprire puntualmente la mia gabbia di legno. (IL posto dove lavoravo)

Questo perche' alle otto del mattino, di navette private neanche a parlarne, e i mezzi pubblici...tutte le informazioni annegano con il sole nel mare se non le chiedi prima che lui (il sole appunto) sparisca. E delle informazioni non rimane traccia nemmeno sui muri e nemmeno su internet. Ma Cagliari e' cosi', basta ricordarsene e il problema sparisce anche lui.    
Allora entro alla stazione e una signora con una vocina gentile mi chiede un'informazione, spiegandomi dettagliatamente il suo problema (che non e' affatto un problema) e, dopo la mia risposta, per l'appunto "credo che non sia un problema..." lei capisce che stiamo andando nella stessa direzione. Quindi esclama che allora facciamo il viaggio insieme e prima di darmi il tempo di rispondere indica i bagagli pesantissimi che potrei aiutarla a portare mentre comincia a espormi la parte piu' recente della sua vita come si fa con un parente semi sconosciuto.
- - - - 
Scusate, qui all' improvviso ho cambiato il tempo verbale, non so perché.

Quando ho poggiato il suo bagaglio pesantissimo sul treno, la signora mi ha chiesto se poteva sedersi vicino a me ed io, che avrei voluto risponderle con un "noooo ti pregoo", le ho detto: " Certo!". 

Parlava a raffica, con allegria.
Nello sforzo (avevo molto sonno), di ascoltare i suoi racconti, ho cominciato a interessarmi alle sue narrazioni e a pensare che quella donna mi piacesse: elencava tragedie e perdite relativamente gravi della sua vita e tutte le cose sfortunate successe a lei e al marito. Subito dopo pero' parlava di quelle buone, che invece le avevano riportato l'equilibrio e l' avevano fatta andare avanti imperterrita (insieme al suo sposo). 
Lo diceva con allegria e ripeteva di essere fortunata. 
E io pensavo:
"Ecco, come al solito le lezioni piu' grandi me le danno le persone piu' semplici, queste maghette del cucito che si sono fatte l'abito da sposa da sole e che parlano delle figlie cicciottelle con lo stesso tono che usano per dire che sono ordinatissime e che sono un pepe, cioe' come se fosse una cosa come un'altra (non come certe ragnatele di parenti sempre li' a rompere i coglioni se non entri nelle misure che si cuciono negli occhi).

Quando ad Iglesias ho scoperto che non c'erano autobus in coincidenza per Portovesme e che avrei aperto la mia gabbia lavoro con due ore di ritardo, io e questa persona ci siamo guardate. 
E lei non ne ha fatto un dramma. 
E neanche io ne ho fatto un dramma. 

Che poi me la sarei fatta anche a piedi, pur di non rinunciare a... ma questo adesso non c'entra.

Comunque, non ne abbiamo fatto un dramma e nel tempo di un messaggio e una chiamata con energia positiva il problema si e' squagliato al sole come me dentro la mia gabbia il pomeriggio.

Poi, la mia compagna di viaggio se n'e' andata via nella panda del marito che aveva il cofano che non si apriva. Quando il marito restava senza lavoro loro prendevano i figli e facevano "una pazzia": si facevano un viaggio. E quando tornavano, il marito, il lavoro da qualche parte lo trovava. 

Mentre penso a questo si avvicina un ragazzo dagli occhi estremamente rossi e dallo sguardo annacquato per chiedermi un'informazione. Gli rispondo.
Mi chiede se sono di Iglesias. Gli rispondo poi getto di fretta gli occhi su "Accabbadora"...che voglio silenzio!!
Poco dopo si siede sulla stessa panchina dove sono io, all'altro estremo. 
Guarda le mie gambe incrociate fino ai piedi e inizia cosi' tra noi questa singolare conversazione:



RAGAZZO dagli OCCHI ROSSI - Mi piacciono le tue scarpe. (sono di quelle che lasciano solo le dita dei piedi scoperte)

SARA - Ah...grazie...(ci pensa su)...grazie mille. (occhi sul libro)

R. dagli OCCHI ROSSI - Io, mi innamoro...delle suole delle scarpe. (lo giuro l'ha detto!)

SARA -  Ah. (non ributta gli occhi sul libro)

R. dagli OCCHI ROSSI - Siamo in 19 a Iglesias.

SARA - ? 

R. dagli O. R.  - 19 ragazzi ad avere questo problema.

(Sara si interroga sul problema).

R. dagli O.R. - ...questo problema. Baciamo le suole delle scarpe.

SARA (comincia a mordersi il labbro per impedire alla sua voglia di ridere di farsi evidente e ferire il ragazzo, che invece e' serissimo) - Come? Baciate le suole delle scarpe?

R. d. O.R. (sempre piu' serio) - Si. E' un problema psicologico. Infatti molte donne sposate ci chiamano apposta, per farci baciare la suola delle scarpe. 

[ No podia creer como me pudiera decir algo tan divertido y mantenerse tan serio! ]

SARA - Ma e' una dipendenza?

R.d. O.R. - Si.

SARA - E come si chiama questa dipendenza?

R. d. O. R. - Psicologica.

SARA (si morde il labbro piu' forte) - Capisco. [Mentira!]

R.d.O.R. - A noi non interessano le suole delle scarpe nuove, solo quelle usate che sono gia' diventate nere, come le tue. 

SARA (Chiude gli occhi poi li riapre)

R.d.O.R. - Per quello le ho notate subito.

SARA - Ma com'e' cominciata questa cosa?

R.d.O.R. - Da piccoli, alle elementari, quando le compagnette di scuola ci facevano baciare le suole delle scarpe.

SARA - Ma perche' le donne vi chiamano?

R.d.O.R. - Perche' sanno che soffriamo.

SARA -Ah.

R.d.O.R. - ...

SARA - ...

R.d.O.R. - Posso baciare la tua suola?

SARA (mannaggia lo sapeva!) - ...mi dispiace...ma...non posso farti baciare la suola delle mie scarpe...proprio non ci riesco. (!!) 

R.d.O.R. - Perche'?

[eh].

SARA - Eh.

R.d. O.R. (implorante) - Ti prego fammela baciare. (la suola!)

SARA (dispiaciuta) - No, mi dispiace...non posso proprio...

R.d.O.R. - Mi fai soffrire.

SARA - MI dispiace! (e addirittura) scusa!

R.d.O.R. - Posso almeno toccarla?

SARA - No.

R.d.O.R. - Ma perche'! Non posso nemmeno toccarla!

SARA - Davvero mi dispiace! (ed e' vero! Ma non abbastanza)

Il ragazzo tace.

Dopo cinque minuti saluta e se ne va.

Io sono rimasta a guardarmi le suole delle scarpe, e ho continuato a farlo fino a Carloforte. 



segunda-feira, 8 de outubro de 2012

AS SOMBRAS e eu contando e divagando

Continuo pensando que quando tenho demasiado tempo para pensar em mim, eu não sou mais eu. Mesmo não sabendo quem sou eu.
Hoje o dia foi muito curto enquanto fiquei mexendo numas coisas importantes para mim.
O tempo passou rápido, de verdade. Mas quando o computador apagou e não quis mais ligar para umas horas... e eu não tinha um livro verdadeiramente bom comigo (que não tivesse já lido), tudo parou e eu não consegui nem tocar um pouco de violão. O tempo, as coisas, as pessoas, tudo parecia paralisado, como se tivesse apertado o stop com um dedo.
E o vazio me mordeu o estomago.
Me repito: "não se deixa invader, não deixa as sombras entrar, não se deixa esvaziar das boas energias que com tanto esforço concentra em você, não deixa a cabeça ir atrás das sombras, não feche os olhos, pense em admirar tudo o que está ao seu redor e procure. Procure o interessante, o estimulante, mas não feche os olhos, se da um presente... vai procurar um livro bello". Isso é o que eu falo para mim quando me parece que a força de gravidade esta me deixando encadeada ao chão, quando eu não sou mais eu.
Quando isso acontecia em Cagliari, ou em Carloforte, eu ia perto do mar, e a sua presença me acalmava. Quando acontecia em Roma, eu saia de casa e caminhava pelas ruas todas da cidade, parando só para encher os olhos de novos lugares apenas descobertos. E sempre ia na livraria Feltrinelli, e as vezes comprava um livro. E não comia quase nada pois isso me fazia sentir mais limpa. E caminhava o dia inteiro, para tirar de mim um pouco de obscuridade a cada passo.
Na Grecia tentava fazer um pouco de tudo, caminhar, escrever... mas lá era mais difícil, as vezes não conseguia derreter ao sol a minha melancolia e as noites também ficavam atormentadas.
Em Buenos Aires ia de bicicleta o dia todo, possivelmente até o Rio/Mar. Sempre adorei o caminho desde a minha casa até lá. Caos e desordem nos quais eu podia esquecer quem eu não queria ser.
Penso tanto a coisas como Quem sou? Quem eu quero ser? Como eu quero ser esse Quem? e não entendo ainda se pensar nisso faz sentido.
Hoje tinha vontade de un quadrinho bonito, um quadrinho que já vi na FNAC, sobre a Faixa de Gaza. Mas esta muito caro e decidi que vou comprar ele quando for festejar alguma coisa, e não para um capricho do humor. Então foi comprar um vinho e escolhi um Bordeaux.
Me senti melhor, porque o bebi com uns amigos e, em silencio, compartilhei um pouco da minha melancolia com eles. E eles, aceitando algo que eu tinha trazido, fizeram me sentir melhor.
Adoro quando as pessoas bebem ou comem as coisas que eu ofereço. Uma vez, voltando do Norte Argentino para Baires, o ónibus quebrou, e enquanto todo mundo esperava no meio da Puna que a solução mais rápida chegasse, eu comecei a oferecer para todos, o meu pacote aberto daquele mais inflado lá... Todo mundo colocava a mão dentro do pacote e eu estava muito alegre por causa disso.
Mas agora é melhor se paro. Acho que é.

La forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà, la forza di volontà.

sexta-feira, 5 de outubro de 2012

UM CONTO QUE PERDI

                                                        PASSEI POR AQUI - CAPITULO 1




Acile tem 7 anos.
Nesse momento está pescando as medusas que utilizará para dar um susto em todos aqueles que, amanhã,  irão mergulhar na Praia Leste de Stastoqueria.
Acile adora fazer isso. Pula de um lado para outro em sua canoa, pisando no corpo todo do Mustafá, que, sendo dois metros de altura por um de gordura, nos barcos de pequeno tamanho, só pode ficar deitado para distribuir em forma equilibrada o seu peso devastante.
Mustafá é a babá de Acile, e tem uma ligação muito especial com a menina. Seria capaz de mudar a cor da pele se a criança o pedisse, mesmo adorando aquele roxo inexplicável que deixa sem fôlego todos os seus futuros amantes.
É mesmo, a pele do Mustafá é absolutamente roxa e ninguém sabe o porquê.
De fato, ninguém sabe nada sobre a babá, mas ela prometeu para a Acile que contará publicamente os  acontecimentos dos seus primeiros 9 anos de vida, exatamente no dia do nono aniversario da pequena.
Na verdade, corre um rumor de que existe um lugar onde a história (a história inteira!), de Mustafá está custodiada. Esse lugar é a torre dos arquivos de Stastoqueria.
Por quê?
Bem, é útil, a esse propósito, dizer que Stastoqueria é um longuíssimo istmo que une dois países extremamente envolvidos em atividades comercias: não só entre eles, mas entre eles e todos os países vizinhos também. Isso torna o istmo um ponto de passagem muito importante e estratégico para vários tipos de negócios.
Mas Stastoqueria é um país independente e as fronteiras estão totalmente fechadas para quem não quiser pagar a taxa pedida pelo governo. Não se trata propriamente de dinheiro, mesmo que a prefeitura goste de chamá-la "taxa de luxo". 
Concretamente: qualquer pessoa que passe para as fronteiras desse pequeno istmo, tem que deixar uma história, não importa que leve ela já escrita em papel ou que a conte no momento, centenas de escrivães trabalham lá para isso. Pagando essa "taxa", a pessoa adquire o direito a 15 permissões de entradas no país; uma vez esgotadas essas, ela terá que doar uma nova história para renovar os vistos de entrada. 
É claro que, não podendo recusar de pagar, muita gente acredita que a forma mais rápida de contar uma história seja aquela de falar, para os escrivães, da própria vida. Um equivoco que todo mundo paga com a descoberta da própria vaidade ou... do talento para a narração (vale a pena mencionar, aqui, o caso do maior comerciante de falsa alpaca de todos os tempos, Calandrino de la Puna, que após ter experimentado a taxa de Stastoqueria, decidiu largar as suas frutíferas atividades para se tornar, com grande habilidade,  o maior autor de falsas biografias de todos os tempos). 

SU DI TE, SU DI ME

Mi capita spesso di essere contagiata dall'entusiasmo di Qualcuno per qualche cosa. L'idea di un racconto, di una canzone, di una sceneggiatura, di un viaggio e quasi qualsiasi altra cosa.
Mi capita anche, spesso, di sentirmi felice se Qualcuno (amico, parente, conoscente o sconosciuto),  mostra, nei pressi di "me", di essere molto contento per qualcosa. Non solo mi contagia, migliora proprio la mia giornata: mi pensare ai fatti miei come a versi di poesia.
Succede in forma più forte, più intensa, con i semplici conoscenti e con gli sconosciuti. Credo che avvenga perché non conoscendo bene la loro storia di vita e il loro modo di essere verso la vita, non ho grandi capacità di valutazione dei loro sentimenti.
Ho pochissime informazioni per spogliarli, filtrarli e analizzarli con ponderazione, per cui tendo a comprenderli e ad "accettarli" così come appaiono nel momento in cui vengono espressi.
E il mio stato d'animo si scontra e si incontra e si mescola con essi in maniera più selvaggia e violenta rispetto al quotidiano. Senza le protezioni che il mio bagaglio di informazioni mi potrebbe prestare, senza i "perché" che la mia conoscenza (del mio interlocutore), solitamente mi fornisce, suggerendomi delle implicite riflessioni su di lui.
Così, l'impatto di questo incontro causa un effetto spugna sul mio stato d'animo, il quale assorbe una parte consistente dell'energia che il mio "interlocutore"appena conosciuto mi trasmette: positiva se é contento, allegro o ottimista, negativa se é disperato, ansioso, molto pessimista o racconta qualcosa di brutto per sfogarsi, ma come se non se ne sentisse tanto toccato.
Nel caso di un'energia negativa la sensazione é anche più intensa, perché pesa, perché non ho i parametri per misurare quanto quell'ansia e quelle cose tristi stanno interferendo con lo stato di quella persona... quindi, senza volerlo forse lo misuro su di me e questo mi incupisce, mi fa sentire uno zombi.
Certo, quando invece si tratta di uno stato d'animo positivo anche io mi sento levitare.

Come il vigilante quando pedala tra la strada e le stelle. E fischietta.

quarta-feira, 3 de outubro de 2012

As vezes me parece que sou um pouco como uma moto ou uma bicicleta. Fico em pé graças ao movimento... mas se paro, o equilíbrio vai embora.
(... estava pensando que essa reflexão pode parecer assustadora. Por isso, quero falar também que mesmo se a bicicleta parar, The Signor Carletto vai cair não).

terça-feira, 2 de outubro de 2012

EPISODIO IN CUI É COINVOLTO UN VIGILE, A CAGLIARI

La storia del vigilante di Brasilia mi ha fatto ricordare un dialogo avvenuto tra me e un altro vigile.
A Cagliari.

Era una notte affollata di gente in agosto, nei parcheggi di Castello. Io e mia madre stavamo cercando un buco già da 20 minuti quando ci mettiamo a superare una macchina della polizia municipale che si era fermata proprio di fronte a noi.
I vigili erano fermi perché stavano aspettando che alcune macchine uscissero da una stradina stretta e io e mia madre non ce n'eravamo accorte.
Cosí, mentre cerchiamo di superare la loro macchina, il vigile al volante si affaccia dal finestrino e ci dice in maniera molto arrogante (e senza la necessità di dirlo in quel modo), di tornare indietro. Ripeto, in maniera proprio molto arrogante.
Mia madre rinuncia alla passeggiata a causa della mancanza di parcheggi e decide di tornare a casa. Io scendo lì e vado all'appuntamento con mio padre ma, prima, mi fermo dal vigile, che nel frattempo é sceso dalla macchina. Ho il sorriso stampato sulla faccia.

IO - Ciao...

VIGILE - Ciao

IO - Scusami, posso dirti una cosa? Però non ti offendere, te la dico così, tranquillamente...

VIGILE - Certo, dimmi.

IO - ... non c'é bisogno di essere scorbutico.

VIGILE (balbettando un po', ma molto tranquillo) - eee... .... sono stato scorbutico?

IO (sempre con il sorriso) - Prima, in macchina, forse abbiamo fatto una stupidaggine ma realmente non avevamo capito perché voi foste fermi.

VIGILE (sempre tranquillo) - Ah, tu eri sulla gip...

IO (sempre con il sorriso) - Si, però non c'era bisogno di parlarci così, potevi dircelo con il sorriso... non c'era nessun problema...

Il suo collega ci guarda in silenzio ad un metro di distanza.

VIGILE (spiazzato, ricomincia lievemente a balbettare) - eeh... no perché... forse perché... c'é molta gente... la situazione un po' caotica... non per male...

IO -  ... no certo, capisco. Lo stress... però volevo solo dirtelo, che non c'é bisogno.

E poi, con l'intenzione di spezzare la tensione e non lasciarlo ancora più stressato di quello che é già, azzardo un:  - e poi scusa, anche tu sei più bello quando sorridi!

VIGILE (ancora più sorpreso, forse abbozza un mezzo sorriso) - Ehe...

IO (penso che forse la battuta geniale non ha avuto un grande effetto) - ... no... comunque grazie per avermi ascoltato...

VIGILE  - Figurati...

IO - E niente. Era solo questo. Grazie. Ciao.

VIGILE - Ciao.

E me ne sono andata.

Lui può aver riso di me o può averci riflettuto sopra.

Io, seguendo il mio credo che é il credo della gentilezza sempre e comunque, la mia parte l'ho fatta.


IL VIGILANTE

adoro quando qualcuno mi dice di aver letto qualcosa del blog. mi fa venire voglia di scrivere qualcos'altro.
.....................................
... qualcosa come un vigile in bicicletta. A Brasilia. Di notte. Al mio vecchio indirizzo.

Poco meno di un anno fa ho cambiato casa. Non mi sono trasferita lontano, anzi, posso dire di essere vicinissima al mio ex-indirizzo.
Eppure, nelle mie notti, qualcosa é cambiato.
Abito nell'Ala Nord di Brasilia, nella "quadra 712 - bloco E", e qui fuori, il vigile in bicicletta con il fischietto, la notte, non passa. Al mio vecchio indirizzo invece, passava e passa ogni giorno, più o meno intorno a mezzanotte e per più di una volta.
Non l'ho mai visto in faccia e nemmeno a figura intera, ma l'ho immaginato in tutti i modi.
Cosa fa lo so: sale e scende in bicicletta per strade possibilmente circospette fischiando in continuazione per dare un avvertimento generale tipo "attenzione attenzione, state buoni perché il vigilante sta passando!".
Una della pareti della mia camera dava sulla strada, per cui ascoltavo sempre il suo "FiiiiiIIIIIIiiiii" che da debole diventava forte e poi debole e poi spariva nel nulla.
Se nel momento in cui lo udivo cinguettare, ero nella mia stanza, ne immaginavo le sembianze guardando il soffitto, e vedevo un vigilante felice e tutto colorato pedalare tra la strada e le stelle. Se lo ascoltavo dalla mia stanza e guardando il soffitto, ma con un po' di malumore, pensavo: "ma questo signor vigilante, non ha paura di andarsene in giro a notte fonda per le crakolandie di Brasilia, piene di figure oscure dietro gli angoli con, come unica arma, un fischietto? Non é mai stato bastonato?", non che sia comune bastonare la gente qui, sono io che immagino così un buon attacco a un ciclista.
Altre volte invece, se ero in cucina con qualcuno e mi accorgevo che lui stava arrivando, spalancavo gli occhi e dicevo tutta contenta: "il vigilante!", senza contagiare il mio quasi entusiasmo a nessuno.
Una volta sono anche corsa alla porta per cercare di vederlo, ma non ho fatto in tempo e mi sono dovuta accontentare del suo piede sul pedale e della ruota posteriore della bici. Poi un giorno l'ho scorso da lontano da sopra una macchina, e ho pensato con grande creatività "é proprio un omino in bicicletta!", ma il viso é rimasto un mistero.