sexta-feira, 6 de maio de 2011

ALBERTOL


Inauguro con te l’esperimento.

Il primo ricordo che ho di Alberto risale alle scuole medie. Un ragazzino silenzioso che incrociavo solo durante l’ora di ginnastica.
Emergeva rispetto agli altri per i tratti marcati del viso, sicuramente più di adesso. Ecco, forse sembrava più grande. Lo notavo anche perché aveva l’aria di essere uno imbranato.  Me lo ricordo sempre serio, con la faccia da buono.  

Ho cominciato a conoscerlo in quarta ginnasio.

A scuola spaccava. Andava bene in tutto, ma bene davvero. Era come se raggiungesse sempre il limite della perfezione. Cioè, meglio di come faceva lui non si poteva.  Eppure mi sembrava distante da tutto.  Guardando indietro, non trovo l’immagine di un Alberto particolarmente emozionato per qualcosa. Compostezza. É la prima parola che gli appiccico addosso in quegli anni, quelli del ginnasio.
Poi i nostri mondi hanno cominciato a mescolarsi e la vicinanza dei nostri banchi in classe ha cominciato a farci scherzare. Lui stava all’ultimo banco nella fila centrale. Proprio dietro di noi.
Prima di tutto, non posso dimenticare quella volta che, all’inizio dell’anno e appena messo piede nel corridoio di scuola, abbiamo cominciato, io e lui, a correre come dei disperati fino all’aula perché volevamo occupare lo stesso posto. Dato che non sapevamo bene a che piano stesse la classe, ci siamo fatti tre piani correndo per poi scoprire che la mia compagna di banco era arrivata prima di noi e che, quindi, c’eravamo spompati per niente. Detto tra noi, gli rompevamo sempre le palle per farci passare le frasi più difficili delle versioni e vari suggerimenti durante altri compiti in classe. Gliele rompevamo tanto, io e la mia fila, che a un certo punto per disperazione si è scambiato di posto con il suo compagno di banco, lasciando nella vecchia posizione, appunto, solo la disperazione (per noi).
Ma cos’era che davvero attirava la sua attenzione a parte la maionese? Albi era sempre calmo, non si mostrava mai troppo triste e forse nemmeno troppo entusiasta. Perlomeno s’incazzava quando per gioco gli rifilavo la spazzatura sotto il banco. Bevevo un succo, mangiavo schifezze e gli lasciavo tutte le cartacce sotto il banco. E farlo arrabbiare per questo, veramente, era troppo divertente. In effetti ancora adesso me ne compiaccio.
Una volta cambiato di posto davanti a lui c’era Marta. Le faceva sempre i grattini sulla testa e nel collo, è una cosa che mi piace un sacco ricordare, non so perché.
Quando studiava, ripeteva la lezione camminando in circolo per la sua stanza. L’ho scoperto quando ho cominciato a non riuscire più a studiare iniziando a rompergli le scatole per andare a casa sua a fare i compiti o farmi interrogare. Mi piaceva sentire il suo parere su tutto. Era quel distacco dalle cose che lo faceva essere tanto obiettivo, riusciva a esprimere la sua opinione senza essere prigioniero di simpatie o antipatie. Solo che poi mancava l’ io di Alberto. Dov’era lui?  
Ah, ma lui c’era. Ed era attento.
Una volta mi ha fatto ridere così tanto che anche adesso se ci penso continuo da sola.  Ci piaceva andare a pattinare in gruppo… eravamo in Via della Pineta, nella discesa. Io e lui non eravamo proprio i migliori con il freno. Io mi stavo tenendo a un lampione quando da dietro sento un grido di aiuto in crescendo. Albi mi raggiunge,  continuando a gridare mi supera, si allontana e si schianta un po’ più giù contro un palo, tipo fumetto, spiaccicato a gambe e braccia aperte.

Poi un giorno siamo andati a correre.
Io gli ho fatto un gioco. Devi immaginare un cubo in un deserto e descriverlo con una scala vicino. Poi devi pensare a un cavallo, poi a una tempesta.
Quel giorno non si dimentica. Un salto. Un salto dentro. O fuori.
Una cosa importante da fare prima di una partenza.    
Oggi.
Quieto, ha il paese delle meraviglie tutto dentro, noi lo sentiamo. Anche quando sta in silenzio, anche quando è lontano, quel paese delle meraviglie fa un gran casino. E ci piace.
Continua ad essere lui, con una cassa degli attrezzi invisibile dove c’è anche Bologna, dove ci sono mille voci e il rumore della carta e dei tasti.
Non parla mai senza sapere cosa sta dicendo. Non parla per sentito dire e se lo fa non lo nasconde. È serio, ride. Se per caso fa il pagliaccio, lo fa come un pagliaccio genuino, senza dire cazzate vuote. Niente di Alberto è vuoto, anche quando dice esagerata ed io non sono d’accordo.

Oggi.
Quel paese là dentro fa un gran casino. E ci piace anche il bisbiglio. Il silenzio pieno di abitanti.          

2 comentários:

  1. Questa idea mi piace tantissimo assai.
    Non so se mi hai fatto venire voglia di conoscere Alberto, perché quello che racconti in fondo sei tu attraverso di lui e, come già sapevo di sapere, mi hai fatto venir voglia di conoscere te!
    Un abbraccio brasilerinha!

    Mauro

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  2. Senza voler essere critico, mi piacerebbe fare due considerazioni.

    Prima: questa descrizione, soprattutto nella prima parte, mi ricorda una classica descrizione di Andrea De Carlo, in cui i compagni di classe vengono visti, a mio avviso, con eccessivo distacco. Nei suoi libri sembra che le persone non si conoscano veramente, anche nei casi di forti amicizie; si ha l'impressione che il mondo sia fatto da singole entità affiancate, piuttosto che da emozioni condivise.
    Non è questo il ricordo che ho io degli anni del liceo: non so se la distanza temporale distorce la memoria o se effettivamente ho dato quella impressione.

    Secondo punto: ha fatto di me una descrizione per alcuni versi molto cruda, hai messo a nudo alcuni miei lati che rispecchiano il mio carattere ancor oggi. Lati che cerco costantemente di cambiare e di limare, ma che spesso non mi riesce.
    Per questo motivo vedermi coi tuoi occhi in modo così "violento" ha avuto sicuramente un notevole effetto, una scossa.
    Ci mediterò su!

    PS: non scrivo faccine od emoticon varie in onore al tuo stile letterario che inorridirebbe di fronte a simili obbrobri.

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