segunda-feira, 15 de abril de 2013

io allo stato grezzo


questa é la copia di una e-mail che ho mandato ad una persona che scrive mille volte meglio di me quando si tratta di testi (sicuramente scrive tutto meglio di me). le ho chiesto di aiutarmi a scrivere il testo di una canzone a cui sto lavorando e quello che segue é il contenuto che gli ho mandato, chiedendomi e chiedendogli (perché é una persona ma é "lui"), cosa lui ne farebbe.


e-mail:
ti mando i pensieri che vorrei si trasformassero in testo. sono buttati lì uno dopo l' altro. ma la cronologia in fondo ha un microsenso. forse li troverai melensi e penserai che lasciano molto a desiderare ma sono veri, almeno adesso, in questo momento, é quello che io credo.
la grammatica é tutta incasinata non aspettarti Roland Barthes :) mi giustifico dicendo che la grammatica é lo specchio della mia inquietudine o della mancanza di equilibro :)

la prima volta che ho capito che non riuscivo a comunicare e che non ci sarei mai riuscita, mi ero sentita così sola e male, che avevo pensato di non voler più parlare. Avevo pensato che forse io nella mia vita non ero una ballerina, che forse ero solo lì per guardare
avevo pensato di rifugiarmi in tutto quello che avrei potuto vedere del mondo, che almeno avrei fatto gli occhi felici e il resto di me si sarebbe accontentato di galleggiare da solo.
però poi, mentre seguivo la mia decisione, ho iniziato a capire che tutto quello che guardavo non parlava ai miei occhi, ogni cosa era un linguaggio che si piantava come una freccia nel petto ed io vedevo il mondo, e lui parlava anche di me. ma non era il paesaggio di terra, erano tutti quelli che non erano me. erano le persone con cui mi incontravo, con cui ridevo o non parlavo, che mi piacevano e non mi piacevano, che mi incuriosivano e spaventavano. 
Erano il viaggio dentro il viaggio.
Ogni persona mi da un pezzo di infinito ed é lì che ci sono anche io, ed é lì che io divento un bene e divento un male. Ed é tra me e lei che io esisto. Ed é tra me e lei che non sono mai uguale. 
Ma ogni incontro ha un peso talmente grande che non so per quanto tempo potrò caricare quei pezzi di infinito che mi fanno essere fino a morire. Non possono restare tra le mie braccia. Li devo passare ad altre braccia o ad altro. Mi devono solo attraversare. Perché se si fermano in me, alla fine perderanno il senso. Devono, dopo di me, arrivare a qualcun altro. Essere destinati a qualcun' altro. 
Devo essere condivisi.
le cose non si possono fermare a me ma devono passarmi attraverso e poi arrivare a qualcuno o diventare qualcosa, io non sono il punto di arrivo, sono un ponte forse non posso che essere questo, o un porto da dove si parte forse non posso che essere questo, un corridoio o una porta forse non posso che essere questo e il punto d'arrivo spero sia qualcun' altro o qualcos'altro. Qualcosa che sia utile più di me, che serva più di me, perché solo come tramite, io mi sento un qualcuno.
precisazione che gli ho fatto su skype:
l' ultima parte significa che io non esisto se non posso condividere. se le cose restano dentro di me e, attraverso me, non arrivano a qualcun altro, si spengono, si cancellano, diventano cenere.

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