Oggi, cercando tra vecchi documenti word del 2010 una sceneggiatura, ho trovato una copia di un'e-mail che, nell'agosto del 2010, avevo inviato ad A. (il fatto di usare l'iniziale devo ammettere che lo sto copiando da Oreste), per raccontargli la cronaca di un viaggio bizzarro.
Eccola qui:
Ho rischiato di scriverti una pagina di noiose riflessioni sul profondo nulla, ma poi il mio lungo (di sicuro piu' del necessario) viaggio Cagliari - Carloforte mi ha fatto cambiare idea e adesso ti racconto di come la tua "patria" possa sempre stupirti con il suo paesaggio umano.
Se partiamo dal presupposto che il mondo e' una prigione di pazzi e noi ci siamo dentro in pieno (io si, di sicuro), rientra tutto nella normalita', quindi non sto per raccontarti niente fuori dal comune.
Alle cinque del mattino ho raggiunto la stazione di Cagliari per prendere il primo treno per Iglesias nella speranza di trovare poi da lì, un autobus diretto per Portovesme, che mi facesse prendere in tempo utile, il traghetto chiave per arrivare ad aprire puntualmente la mia gabbia di legno. (IL posto dove lavoravo)
Questo perche' alle otto del mattino, di navette private neanche a parlarne, e i mezzi pubblici...tutte le informazioni annegano con il sole nel mare se non le chiedi prima che lui (il sole appunto) sparisca. E delle informazioni non rimane traccia nemmeno sui muri e nemmeno su internet. Ma Cagliari e' cosi', basta ricordarsene e il problema sparisce anche lui.
Allora entro alla stazione e una signora con una vocina gentile mi chiede un'informazione, spiegandomi dettagliatamente il suo problema (che non e' affatto un problema) e, dopo la mia risposta, per l'appunto "credo che non sia un problema..." lei capisce che stiamo andando nella stessa direzione. Quindi esclama che allora facciamo il viaggio insieme e prima di darmi il tempo di rispondere indica i bagagli pesantissimi che potrei aiutarla a portare mentre comincia a espormi la parte piu' recente della sua vita come si fa con un parente semi sconosciuto.
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Scusate, qui all' improvviso ho cambiato il tempo verbale, non so perché.
Quando ho poggiato il suo bagaglio pesantissimo sul treno, la signora mi ha chiesto se poteva sedersi vicino a me ed io, che avrei voluto risponderle con un "noooo ti pregoo", le ho detto: " Certo!".
Parlava a raffica, con allegria.
Nello sforzo (avevo molto sonno), di ascoltare i suoi racconti, ho cominciato a interessarmi alle sue narrazioni e a pensare che quella donna mi piacesse: elencava tragedie e perdite relativamente gravi della sua vita e tutte le cose sfortunate successe a lei e al marito. Subito dopo pero' parlava di quelle buone, che invece le avevano riportato l'equilibrio e l' avevano fatta andare avanti imperterrita (insieme al suo sposo).
Lo diceva con allegria e ripeteva di essere fortunata.
E io pensavo:
"Ecco, come al solito le lezioni piu' grandi me le danno le persone piu' semplici, queste maghette del cucito che si sono fatte l'abito da sposa da sole e che parlano delle figlie cicciottelle con lo stesso tono che usano per dire che sono ordinatissime e che sono un pepe, cioe' come se fosse una cosa come un'altra (non come certe ragnatele di parenti sempre li' a rompere i coglioni se non entri nelle misure che si cuciono negli occhi).
Quando ad Iglesias ho scoperto che non c'erano autobus in coincidenza per Portovesme e che avrei aperto la mia gabbia lavoro con due ore di ritardo, io e questa persona ci siamo guardate.
E lei non ne ha fatto un dramma.
E neanche io ne ho fatto un dramma.
Che poi me la sarei fatta anche a piedi, pur di non rinunciare a... ma questo adesso non c'entra.
Comunque, non ne abbiamo fatto un dramma e nel tempo di un messaggio e una chiamata con energia positiva il problema si e' squagliato al sole come me dentro la mia gabbia il pomeriggio.
Poi, la mia compagna di viaggio se n'e' andata via nella panda del marito che aveva il cofano che non si apriva. Quando il marito restava senza lavoro loro prendevano i figli e facevano "una pazzia": si facevano un viaggio. E quando tornavano, il marito, il lavoro da qualche parte lo trovava.
Mentre penso a questo si avvicina un ragazzo dagli occhi estremamente rossi e dallo sguardo annacquato per chiedermi un'informazione. Gli rispondo.
Mi chiede se sono di Iglesias. Gli rispondo poi getto di fretta gli occhi su "Accabbadora"...che voglio silenzio!!
Poco dopo si siede sulla stessa panchina dove sono io, all'altro estremo.
Guarda le mie gambe incrociate fino ai piedi e inizia cosi' tra noi questa singolare conversazione:
RAGAZZO dagli OCCHI ROSSI - Mi piacciono le tue scarpe. (sono di quelle che lasciano solo le dita dei piedi scoperte)
SARA - Ah...grazie...(ci pensa su)...grazie mille. (occhi sul libro)
R. dagli OCCHI ROSSI - Io, mi innamoro...delle suole delle scarpe. (lo giuro l'ha detto!)
SARA - Ah. (non ributta gli occhi sul libro)
R. dagli OCCHI ROSSI - Siamo in 19 a Iglesias.
SARA - ?
R. dagli O. R. - 19 ragazzi ad avere questo problema.
(Sara si interroga sul problema).
R. dagli O.R. - ...questo problema. Baciamo le suole delle scarpe.
SARA (comincia a mordersi il labbro per impedire alla sua voglia di ridere di farsi evidente e ferire il ragazzo, che invece e' serissimo) - Come? Baciate le suole delle scarpe?
R. d. O.R. (sempre piu' serio) - Si. E' un problema psicologico. Infatti molte donne sposate ci chiamano apposta, per farci baciare la suola delle scarpe.
[ No podia creer como me pudiera decir algo tan divertido y mantenerse tan serio! ]
SARA - Ma e' una dipendenza?
R.d. O.R. - Si.
SARA - E come si chiama questa dipendenza?
R. d. O. R. - Psicologica.
SARA (si morde il labbro piu' forte) - Capisco. [Mentira!]
R.d.O.R. - A noi non interessano le suole delle scarpe nuove, solo quelle usate che sono gia' diventate nere, come le tue.
SARA (Chiude gli occhi poi li riapre)
R.d.O.R. - Per quello le ho notate subito.
SARA - Ma com'e' cominciata questa cosa?
R.d.O.R. - Da piccoli, alle elementari, quando le compagnette di scuola ci facevano baciare le suole delle scarpe.
SARA - Ma perche' le donne vi chiamano?
R.d.O.R. - Perche' sanno che soffriamo.
SARA -Ah.
R.d.O.R. - ...
SARA - ...
R.d.O.R. - Posso baciare la tua suola?
SARA (mannaggia lo sapeva!) - ...mi dispiace...ma...non posso farti baciare la suola delle mie scarpe...proprio non ci riesco. (!!)
R.d.O.R. - Perche'?
[eh].
SARA - Eh.
R.d. O.R. (implorante) - Ti prego fammela baciare. (la suola!)
SARA (dispiaciuta) - No, mi dispiace...non posso proprio...
R.d.O.R. - Mi fai soffrire.
SARA - MI dispiace! (e addirittura) scusa!
R.d.O.R. - Posso almeno toccarla?
SARA - No.
R.d.O.R. - Ma perche'! Non posso nemmeno toccarla!
SARA - Davvero mi dispiace! (ed e' vero! Ma non abbastanza)
Il ragazzo tace.
Dopo cinque minuti saluta e se ne va.
Io sono rimasta a guardarmi le suole delle scarpe, e ho continuato a farlo fino a Carloforte.
u made my day, anzi, 2 giorni consecutivi!
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